"Da lontano Bari fa un magnifico effetto. La città è difesa da una doppia cinta di mura e da un antico castello; sorge su una rocciosa penisola triangolare di circa un miglio di perimetro. Le case sono in genere assai modeste ... La passeggiata sul nuovo bastione dietro il porto è delle più amene; a ogni svolta si apre un diverso panorama del mare e della costa, dalle balze del Gargano alle colline di Ostuni ... ".
Così scriveva, alla fine del Settecento, il viaggiatore inglese Henry Swinburne. Bari è capoluogo dell’omonima provincia e della regione Puglia e conta circa 320.000 abitanti. La città si sviluppa sulla costa del Basso Adriatico ed è uno dei più attivi centri economici dell'Italia meridionale, il principale centro per l'economia dell'intera regione e per la ricerca tecnologica. È sede dell'annuale Fiera del Levante. Anche il visitatore frettoloso nota subito che la città è formata da due parti ben distinte: da un lato c’è la “Bari Vecchia”, che comprende i più importanti monumenti medievali e rinascimentali, tra cui la cattedrale romanica, dedicata a San Sabino, la basilica romanica di San Nicola, il castello normanno-svevo di Federico Il, la chiesa di San Ferdinando, il Fortino di Sant’Antonio Abate. E’ la parte più caratteristica di Bari, composta di piccoli vicoli di rara bellezza, scorci panoramici, profumi antichi. La seconda parte è la cosiddetta “Bari Nuova”, nata nei primi anni dell’Ottocento con un editto di Gioacchino Murat, e caratterizzata da strade aperte, lunghe e rettilinee.
In realtà, l’anima di Bari, il suo “genius loci”, nasce dal mare che le sta di fronte e dalle infinite conseguenze che questa realtà ha comportato per la città. Detta “Regina della Puglia”, ma anche “Regina dell’Adriatico”, Bari ha trovato nel mare la fonte delle sue fortune e delle sue disgrazie. Le fortune si riassumono nella sua posizione di porta sull’Oriente e negli intensi traffici marittimi – commerciali e di cultura – che da sempre hanno caratterizzato le sue attività. Ma dal mare vennero anche le disgrazie: mille volte Bari fu assalita, depredata, impoverita dalle incursioni dei pirati saraceni. Dal mare vennero i berberi che conquistarono la città nell’847 e la dominarono per quasi trent’anni. La sua posizione sul mare, dominatrice del basso Adriatico, attirò infinite lotte per l’occupazione di questo importante avamposto. Dopo la lunga parentesi di Roma, Bari fu via via conquistata dai Longobardi, dai Bizantini, poi dai Normanni, dagli Svevi, dagli Angioini, dagli Aragonesi, dagli Sforza, dagli Spagnoli. Ognuna di queste civiltà ha lasciato a Bari impronte indelebili, non solo nell’architettura e nelle costruzioni, ma anche nel carattere degli abitanti: industrioso e trafficante, aperto alle novità e agli scambi, curioso e orgoglioso del suo passato cosmopolita.
Ma c’è dell’altro. La ricorrente conquista, il pericolo costante d’invasione e di nuova sudditanza, hanno certamente favorito la naturale e genuina propensione religiosa dei Baresi. Ecco allora che, nell’XI secolo, sessantadue marinai baresi si recano in Asia Minore e riescono a trafugare e a riportare a Bari le spoglie di San Nicola, vescovo di Mira. I Baresi erigono al santo taumaturgo una stupenda Basilica, meta di pellegrinaggi, di fede e di un culto fervente che si perpetua. A questo riguardo, scriveva Italo Calvino: «... Il mondo attorno all'antico San Nicola è un formicaio ebbro di vitalità. Vecchi cortili sono stanze, vecchie cappelle sono magazzini, una scala sfonda un muro, un muro alza la testa oltre il soffitto. Passa con il braccio steso il venditore di pomodori secchi e salati e il suo lamento incomprensibile eccita l'appetito. Allora mille bambini seminudi sporgono il loro pezzo di pane. Mentre la madre pettina la comare, la figlia fa la pasta su una pietra larga, davanti all'uscio di casa. Con un pizzico di pasta mette al mondo altri pupi, ci soffia su: andate a giocare, toglietevi di qui. Così si moltiplica all'infinito la vecchia Bari, grazie a Dio, cresce nuova e non muore mai».
L'amore per i commerci e la fede religiosa non vanno però a scapito delle istanze culturali: non per nulla Bari è la città dell'editore Laterza che divulgò nel primo Novecento le opere del grande filosofo napoletano Benedetto Croce. Anzi, il mercante barese, che lavora notte e giorno per vendere le sue merci, coltiva il sogno di avere il figlio avvocato o ingegnere, notaio o medico; lontano, insomma, dal vivere spesso incerto della gente legata ai commerci. Ecco così giustificato il ruolo dell'Università di Bari che, con la sua popolazione studentesca di circa 45.000 unità, è una delle più affollate d'Italia.
Qui nascono le speranze dei giovani baresi, dei loro coetanei provenienti dalla Basilicata, dalla Calabria, dal Molise, e dei numerosi studenti greci e dei Paesi del Terzo Mondo. Speranze destinate spesso a infrangersi contro una realtà fatta di disoccupazione o di sottoccupazione. Il problema dell'occupazione, poi, è particolarmente drammatico in una città che, come Bari, ha carenza di grosse industrie, anche se l'economia della provincia sembra avviata a un intenso sviluppo industriale.
Il quadro d'assieme è caratterizzato – a nord di Bari – dalla presenza di grossi centri abitati e, soprattutto nell'interno, da campagne poco abitate in cui sono disseminati, a segnare i confini delle colture e delle proprietà, bianchi muretti di pietre a secco e "masserie" che sono suggestivi esempi di architettura spontanea. Oltre alle passeggiate romantiche sui lungomari, in cui si è rapiti dal fascino di Bari e delle acque mediterranee che la bagnano, la città è famosa per la sua cucina, semplice e saporita: ottime zuppe di pesce, frutti di mare, verdure e piatti tipici come la “'capriata”, l'agnello cucinato in diverse maniere, le famose orecchiette, le tagliatelle fatte in casa, la “melanzanata”, il tutto condito dall'ottimo olio d'oliva prodotto nei paraggi.
Alcuni scavi del 1913, accertarono la presenza di un villaggio dell’età del bronzo e di cultura peuceta dopo, nella punta più estrema della città vecchia, come a voler già indicare alle generazioni future lo stretto rapporto che la città di Bari avrà con il mare. I primi dati sicuri e documentati circa la storia della città, si riferiscono alla conquista romana, avvenuta nel III secolo a.C. Durante la lunga dominazione romana, Bari si affermò come porto peschereccio e centro di traffici: essa e divenne "municipium cum suffragio", con la possibilità cioè di emanare proprie leggi e avere proprie istituzioni, pur dipendendo da Roma. La città era situata lungo la via Traiana, di cui sono rimaste alcune colonne miliari. Bari possedette una Zecca ed ebbe un Pantheon, dedicato alle sue divinità pagane. Con la caduta di Roma (476 AD), Bari passò sotto il dominio degli Ostrogoti e in seguito dei Longobardi. Nell 847, in pieno periodo di espansione araba nel Mediterraneo, gli arabi approfittarono della debolezza dei principi longobardi impegnati in lotte fratricide, conquisteranno Bari e il suo entroterra dichiarando la fondazione dell’Emirato di Bari.
Gli emiri proibirono la continuazione dell'uso delle chiese e costruirono a Bari una grande moschea. A parte questo, essi garantirono in città una certa tolleranza religiosa. La dominazione araba terminò nel 871, quindi 24 anni dopo il loro insediamento. Le forze congiunte dei Bizantini e dei Franchi espugnarono la città dopo 3 anni di assedio e i primi approfittando del vuoto lasciato dai Longobardi di Benevento ne presero possesso.
Il passaggio dal potere longobardo a quello arabo e poi bizantino, portò notevoli cambiamenti. Bari divenne una città dominata da Bisanzio, consolidando quel carattere – che non ha più perso – di città-ponte tra oriente e occidente, in altre parole di città frontiera. Bari divenne quindi il maggior centro politico, militare e commerciale italiano dell'Impero d'Oriente, nonché sede del "Catapano", comandante greco che governava tutti i territori di Bisanzio in Occidente. Si aprì per la città un periodo di prosperità ed espansione. Attorno al Mille la città subì tremendi assalti da parte dei pirati saraceni. Il più grave di questi, nel 1001, si protrasse in un lungo assedio: la città fu salvata per l'intervento della flotta veneziana, al comando del doge Pietro Orseolo II. Guidati da Melo da Bari, i Baresi si ribellarono poi al potere bizantino, ma furono sconfitti nel 1018. Il dominio bizantino terminò nel 1071, quando il normanno Roberto il Guiscardo conquistò la città.
Sotto la dominazione normanna il porto di Bari assurse a grande notorietà, quale uno dei principali porti d'imbarco per le Crociate. Infatti, nel 1096, dopo la predicazione di Pietro l'Eremita, guerrieri provenienti da ogni parte d'Europa affluirono a Bari per recarsi alla prima Crociata. In quel torno di tempo, gli eventi più significativi per Bari furono: la nascita del Comune, la costruzione della basilica di San Nicola e la sua consacrazione da parte di Urbano II. L’essere culturalmente ed economicamente molto vicina a Bisanzio fomentò diverse rivolte contro i Normanni e nel 1156, Guglielmo I, detto il Malo, prese d’assalto la città la distrusse, salvando solo la Basilica di San Nicola.
La città fu ricostruita da Federico II di Svevia che a Bari trascorse uno dei suoi periodi più splendidi. Il sovrano illuminato diede nuovo impulso alle attività portuali e industriali, restaurò il Castello e fece fiorire alla sua corte le arti e la cultura. Nei secoli XIII e XIV con gli Angioini, la situazione cambiò nuovamente.
La città fu prostrata dalla dura imposizione fiscale di Carlo I d'Angiò e dei suoi successori, occupati solo a combattere. Bari decadde al punto che nel XV secolo fu assoggettata al dominio feudale dei principi di Taranto e poi dei duchi di Milano, gli Sforza.
Con Isabella d'Aragona, che era giunta a Bari nel 1501, il Cinquecento fu caratterizzato da un periodo di notevole prosperità. A Isabella successe la figlia Bona, che rimasta vedova di Sigismondo l, re di Polonia, si trasferì a Bari, ove regnò con giustizia e saggezza: alla sua morte, avvenuta nel 1557, i Baresi vollero onorarla, seppellendola in San Nicola. Bari tornò a far parte del Regno di Napoli, che da 1503 era passato sotto l'influenza spagnola, governato da un viceré. L'età del vicereame fu infelice per il Mezzogiorno: soprusi, prepotenze, violenze, rapine, assassini, tasse durissime. Un tentativo di sommossa da parte dei Baresi, capeggiati da Paolo Ribecco, finì in lutti e rovine. Ad aggravare la situazione vi furono in città due tremende epidemie di peste, una nel 1656 e una nel 1691.
Con la guerra di successione spagnola, il napoletano passò all'Austria sotto l'imperatore Carlo VI. Nel 1734, con la guerra di successione polacca, Carlo III di Borbone, tolse il napoletano a Carlo VI; legittimato con la pace di Vienna nel 1738. Carlo III è considerato un re illuminato, e la città di Bari trasse molti vantaggi dal suo governo. Nel 1759, lasciò la corona al fratello Ferdinando VI, per assumere quella spagnola. Per la città di Bari, il settecento fu un periodo di continui contrasti fra la nobiltà e il clero, ricchi di privilegi, e la borghesia attiva e intraprendente. La rivoluzione francese non ebbe ripercussioni nel Mezzogiorno, ma le nuove idee fecero maturare avvenimenti molto importanti. Nel 1798, si costituì un governo rivoluzionario. Nel 1806, l'imperatore Napoleone dichiarò decaduti i Borboni, fece occupare il Mezzogiorno e pose sul trono il fratello Giuseppe, il quale lasciò il posto al cognato Gioacchino Murat per assumere la corona spagnola. Nel 1808 Murat proclamò Bari capitale e diede il via all'edificazione del nuovo borgo. Dopo la sua morte (1815), Bari fu governata dai sovrani borbonici Ferdinando I, Ferdinando II e Francesco II, fino all’unificazione nazionale (1860).
La Basilica di San Nicola fu eretta tra il 1087 e il 1097 per custodire le spoglie mortali di San Nicola, che nel 1087 sessantadue marinai baresi erano riusciti a trafugare a Mira, in Licia, e a trasportare in Italia. Quando le reliquie arrivarono a Bari, l'abate Elia – che poi divenne vescovo della città – iniziò la costruzione di una nuova Chiesa. L'edificazione fu rapida, e nel 1089 Urbano II consacrò la cripta e vi depose le reliquie: nell’ottobre dello stesso anno, vi tenne un Concilio contro la chiesa greca. La Basilica era così importante, e il Santo così venerato, che perfino Guglielmo il Malo risparmiò l’edificio dalla distruzione generale perpetrata nel 1156.
Al tempio miracoloso, oltre le folle di credenti, vennero pure, in atto di fede, papi e sovrani. Da questa basilica, Pietro l'Eremita lanciò il suo appassionato appello per la liberazione del Santo Sepolcro; qui Ruggiero il Normanno, Arrigo VI, l'imperatrice Costanza e il pallido Manfredi furono incoronati re.
Le mura imponenti, la facciata tripartita con le archeggiature in alto, le bifore, il massiccio transetto, le tre navate divise da colonne e pilastri, i matronei a trifore, sono tutti elementi caratteristici dello stile romanico.
Semplice ma maestosa è la facciata, fiancheggiata da due torri campanarie mozze. Tripartita da lesene, essa è coronata da archetti e aperta in alto da bifore e in basso da tre portali: di questi, il mediano è a baldacchino su colonne, e riccamente scolpito. Ammirevoli sono i fianchi con profonde arcate cieche e ricche porte. Arcature cieche in basso e bifore in alto animano le alte testate del transetto e la parete continua absidale, ornata al centro da un grande finestrone.
Il maestoso interno è a tre navate, divise da colonne e pilastri, con un vasto transetto e tre absidi. Sopra gli archi sta il piano del matroneo a trifore. Il soffitto, intagliato e dorato, è caratterizzato da riquadri dipinti del XVII secolo. L'altar maggiore è sormontato da un ciborio del XII secolo, il più antico della Puglia. Nell'abside centrale degni di nota sono: il pavimento con tarsie marmoree e con motivi orientaleggianti dei primi decenni del XII secolo; la bellissima cattedra episcopale del 1105, detta “cattedra dell’abate Elia”, grande trono marmoreo ricavato da un unico blocco, che si trova alle spalle del ciborio; il cinquecentesco monumento funebre di Bona Sforza. L’altare dell'abside destro presenta un trittico quattrocentesco di A. Rico da Candia; nella parete retrostante sono resti di affreschi del Trecento. Sulla destra s’innalza il ricco altare di San Nicola, in lamina d'argento sbalzato, del 1684. Nell'abside sinistra, spicca una tavola con Madonna e Santi, del 1476.
Per una delle scale al termine delle navate si scende nella Cripta, vasta quanto il transetto: presenta tre absidi ed è sostenuta da 26 colonne abbellite da capitelli romanici. Sotto l'altare della cripta riposano i resti di San Nicola. Dalle ossa del Santo, patrono della città, i monaci avrebbero estratto un liquido con poteri miracolosi, chiamato “manna”. Ecco perché sono attribuite a San Nicola le qualità di taumaturgo.
Il museo, ordinato nella navata destra, presenta i pezzi superstiti del c.d. Tesoro di San Nicola (reliquiari, candelieri, manoscritti miniati), ai quali sono stati aggiunti dipinti, suppellettili, arredi e soprattutto sculture, spesso frammentarie, rinvenute all'interno delle torri o sotto i pavimenti del transetto e della cripta durante recenti lavori di restauro.
La Cattedrale di Bari, dedicata a San Sabino, prospetta su Piazza dell’Odegitria ed è considerata il più bel monumento architettonico pugliese del secolo XIII. In realtà, quella che vediamo non è né l'antica cattedrale iniziata sotto l'Arcivescovo di Bisanzio, nel primo trentennio del secolo XI, né quella che – distrutta, in parte o totalmente la prima – fu costruita tra il 1171 e il 1188 e consacrata nel 1292. Della sorte della prima costruzione della Cattedrale, discordi sono i pareri degli storici; se fu interamente distrutta assieme al resto della città nel 1156 da Guglielmo il Malo, o se di essa, nella generale rovina, si salvò qualche cosa.
La seconda costruzione, fatta o meno sullo stesso suolo, e con le stesse arcate, fu deturpata dalle goffe architetture settecentesche e ancor più dalle deturpazioni barocche – compiute nel 1741 dall'arcivescovo Gaeta e dall’architetto Domenico Vaccaro – che modificarono la facciata, l’interno delle navate, l’interno della Trulla e la Cripta. I restauri effettuati alla metà del Novecento hanno ridato al tempio il suo volto medievale. In particolare, l’arredo interno fu riportato alle antiche fattezze romaniche, realizzando il ciborio, l’ambone e la recinzione del presbiterio. Sui colonnati e gli archi della navata centrale furono aperte le trifore dei matronei mai utilizzati e sostituiti con ballatoi pensili. La Cattedrale, in stile romanico, conserva all’esterno uno dei due campanili originali (il secondo è crollato nel 1613) e presenta una cupola su tamburo ottagonale.
La bella facciata principale è a spioventi, terminata a cuspide e tripartita da lesene, secondo l'ordine interno delle navate. Essa è rimasta intera solo nella parte superiore, ove si ammirano il cornicione interno e la faccia sottostante, ornata di bellissimi bassorilievi di foglie e fiorellini con stralcio ramificato. Il gran rosone centrale, nonostante i guasti patiti nell'interno, conserva la sua cornice di corona di rosario con sovrastante cornice semicircolare a palmette, sulla quale si protendono figurine di sfinge e animali vari. Sulla facciata posteriore spicca il magnifico finestrone.
L’interno, solenne e armonioso, è a tre navate e tre absidi. Si notano finti matronei e i leoni stilofori all'ingresso del presbiterio, oltre alla cattedra episcopale, al pulpito e al ciborio. Ricchissima è la suppellettile marmorea e la decorazione di tutte le parti architettoniche, attribuite a grandi scultori come Alfano da Termoli, Anseremo da Trani, Peregrino da Salerno. Ricca è anche la decorazione parietale ad affresco, della quale sopravvivono alcuni resti nelle absidi minori e nella Cripta. Con il recupero del Novecento, ogni oggetto artistico è stato restaurato e riproposto alla lettura degli studiosi e dei visitatori, per ricomporre l’immagine di una delle chiese più belle di tutta l’Italia meridionale.
Dalla navata sinistra si accede a un antico battistero, chiamato Trulla, trasformato in sacrestia e alla Cripta. Quest’ultima fu restaurata nel 1156, dopo la distruzione operata da Guglielmo il Malo, e custodisce le spoglie di San Sabino. Al suo interno, si possono ammirare stupendi affreschi trecenteschi e la preziosa icona bizantina della Madonna di Costantinopoli, detta Madonna Odegitria.
Il castello di Bari fu eretto – intorno al 1131 – su precedenti strutture abitative d’epoca bizantina. Lo volle Ruggero il Normanno, per evidenti scopi difensivi. Della struttura originale rimane ben poco perché, nel 1156, Guglielmo il Malo attaccò e distrusse la città. Qualche edificio religioso fu risparmiato, ma il castello fu ridotto a poco più di un rudere. Il complesso attuale è la ricostruzione del 1233-1240, dovuta all’imperatore Federico II, e alla genialità dell’architetto Guido del Vasto. Durante le Crociate, il castello fu l’abituale ricovero per i cavalieri in partenza e in arrivo dalla Terra Santa. Tra il 1280 e il 1463, esso fu affidato a vari feudatari. Nel 1308, durante il Regno degli Angioini, furono arrestati e qui custoditi i Templari dell’Italia Meridionale, fino al 1312, quando l’Ordine fu soppresso.
Successivamente il castello passò a Ferrante d'Aragona, quando Bari entrò a far parte del suo dominio regio. Con gli Aragonesi l’edificio assunse la configurazione attuale, con quattro bastioni angolari a lancia. Successivamente, esso fu donato agli Sforza, in occasione delle nozze di Alfonso d’Aragona con la figlia del duca di Milano. Agli inizi del Cinquecento, il maniero divenne dimora della duchessa di Bari, Isabella d'Aragona, che trasformò il Castello in una lussuosa dimora fortificata, meta di letterati, artisti e potenti uomini di corte. In particolare, il complesso fu munito sui tre lati verso terra da una possente cinta bastionata, rafforzata da poderosi baluardi: inoltre, attorno al Castello, fu costruito un ampio fossato. Nell’Ottocento, il castello fu adibito dai Borboni a fortezza e prigione; poi divenne caserma per la fanteria e gendarmeria. La possente e grandiosa costruzione è formato da due parti distinte: la prima comprende il mastio, di origine bizantino-normanna, trasformato da Federico II. Il mastio presenta una pianta trapezoidale, con due torri delle quattro originarie. La seconda parte ingloba i baluardi a scarpata con torrioni angolari a lancia sul fossato, che furono aggiunti da Isabella d’Aragona. Il lato nord, quello sul mare, conserva il portale ogivale (ora murato) e le graziose bifore della ricostruzione duecentesca.
Al castello si accede dal lato sud, varcando il ponte sul fossato ed entrando nel cortile tra i baluardi cinquecenteschi e il mastio svevo, sulle cui torri e cortine costruite in bozze di pietra scura, si notano diverse monofore. Sul lato ovest un portale gotico scolpito immette in un atrio su colonne con volte a crociera, dal quale si passa nel cortile interno, quadrilatero, di impianto rinascimentale, assai rimaneggiato. In questo interno, sulla sinistra in un salone del pianterreno è presente la Gipsoteca cittadina. Accanto, un’interessante sala con volta a botte costolonata a sesto acuto, è adibita ad archivio. Al piano superiore, nel lato meridionale del castello, ha sede la Soprintendenza ai beni architettonici storici e artistici della Puglia.
Piazza del Ferrarese si trova nell’area di una delle porte di accesso alla città medievale, la cosiddetta Porta di Mare, o Porta Australe, o Porta di Lecce, aperta nel 1612 per facilitare l’ingresso delle merci nella vicina piazza Mercantile dove si svolgeva il mercato. L’opera fu compiuta sotto il regno di Filippo III di Spagna. Sulla porta erano scolpiti un distico e un’iscrizione inneggianti al re. Sopra la porta erano incise le effigi di Japige e di Barione, i mitici fondatori di Bari.
Piazza del Ferrarese è importante perché in essa è stato riportato alla luce un tratto dell’antica via Appia-Traiana, costruita dai Romani nei primi anni del II secolo d.C. La piazza prende il nome da un commerciante di Ferrara – tale Stefano Fabri o Fabbro – che nel Seicento si stabilì a Bari e qui teneva i suoi fondaci. Questo commerciante ha lasciato un buon ricordo di sé, avendo finanziato la costruzione della loggia superiore del Palazzo del Sedile.
La Colonna della Giustizia sorge accanto al Palazzo del Sedile, sulla parte sinistra di Piazza Mercantile. Chiamata dai Baresi "colonna infame", era in realtà la struttura cui venivano incatenati ed esposti al pubblico ludibrio i debitori insolventi, i bancarottieri e i falliti: era, insomma, la gogna cittadina. Secondo alcuni studiosi, la colonna sarebbe stata eretta verso la metà del Cinquecento, per volontà del viceré spagnolo Pietro di Toledo, che emanò un decreto per rendere meno dura la pena della berlina. Il manufatto è costituito da una colonna di marmo bianco, sormontata da una sfera, e da un leone di pietra, di proporzioni naturali, che le sta accovacciato alla base. Esso porta sul petto un collare con incisa la scritta Custos Iusticiae, ossia custode della giustizia. Pare che i condannati fossero messi a cavallo di questo animale, col sedere scoperto e le mani incatenate alla colonna.